04 Ott I rischi di Facebook – La condivisione di contenuti: profili legali
Privacy e sicurezza – social media
Pubblicare l’opera di qualcun altro come se fosse la nostra, o la fotografia di una persona che non ci ha dato il permesso. Questa e altre azioni simili sono comuni su Facebook e altri social network, ma non per questo sono lecite. Le responsabilità legali sono a carico dell’utente. Postare e condividere attraverso i social è oramai una prassi assai diffusa, tuttavia nel compiere questo tipo di operazioni bisogna prestare qualche attenzione. Nel caso non si fosse a conoscenza delle normative che regolano queste attività, infatti, si rischia seriamente di incorrere in responsabilità di vario tipo, spesso anche penali. Iscrivendosi a un qualsiasi social network (come si può desumere dalle informative dei più utilizzati come Facebook, Whatsapp e Twitter) si accettano automaticamente delle lunghe e dettagliate serie di condizioni che sono indicate nelle relative informative.
Tra le condizioni comuni si possono individuare limitazioni di responsabilità che caricano l’utente della completa ed esclusiva responsabilità per tutti i contenuti postati, condivisi o trasmessi sia pubblicamente che in modo privato (si è completamente responsabili anche quando si riceve un file e lo si condivide nuovamente).
In questo articolo indicheremo i rischi più comuni (e le possibili sanzioni) in cui si può incorrere attraverso un utilizzo non appropriato dell’attività di condivisione sui social network al fine di consentire un lecito utilizzo di questo prezioso e popolare strumento. È da tenere bene a mente che soltanto l’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare una propria opera. Nel condividere o pubblicare frasi, articoli o testi che sono stati prodotti da altri bisogna sempre ricordarsi di citare l’autore, in caso contrario si rischia di integrare gli estremi del plagio. Il plagio consiste nella parziale o totale attribuzione di un’opera o nella mancata citazione delle fonti; si verifica per esempio quando il testo viene copiato ed incollato senza i dovuti riferimenti al vero autore ed al testo da cui sono tratti. Dunque, oltre a ragionevoli motivazioni di carattere etico che dovrebbero spingere a non appropriarsi di un’opera altrui, pubblicare una frase o un articolo eliminando il nome del reale autore e facendoli propri costituisce un comportamento che viene punito con pesanti sanzioni indicate dalla legge sul diritto d’autore: pene pecuniarie indicate al primo comma dell’articolo 171 o, in caso di condotte aggravate, sanzioni di carattere penale indicate nei successivi articoli.
Per evitare di incorrere in questo tipo di sanzioni si possono usare vari rimedi, come una formattazione differente del testo (es. virgolettato e corsivo) oppure utilizzando le specifiche funzioni di condivisione previste dai vari social. La diffamazione, prevista all’articolo 595 c.p., consiste nella lesione della reputazione altrui quando si comunica con più persone; il soggetto offeso non deve essere presente altrimenti si ricadrebbe nell’ingiuria, ora depenalizzata.
È semplice intuire come quest’ipotesi possa verificarsi nel mondo dei social dove circola una moltitudine di foto e video ed in cui è possibile pubblicare qualsiasi tipo di pensiero: l’immagine di un soggetto di fronte agli altri può essere facilmente lesa, ad esempio, attraverso post offensivi o con la messa in circolazione di foto o video compromettenti – a tal proposito ci sono purtroppo diversi esempi di cronaca recente, anche drammatici.
Tenendo conto, inoltre della grande potenza diffusiva dei social, la Cassazione ha in più occasioni (es. con sent. 24431/2015) ravvisato la sussistenza dell’aggravante indicata al terzo comma dell’articolo in questione: si parla infatti di diffamazione a mezzo stampa quando un comportamento diffamatorio è posto in essere tramite il web. La pena prevista (e aggravata) consiste nella reclusione da sei mesi a tre anni o in una multa non inferiore a 516 euro.
La ratio di questo orientamento è da rinvenirsi nel fatto che, postando un commento offensivo sulla propria bacheca virtuale (o su quella di altri), il messaggio può potenzialmente raggiungere un numero indefinito di persone (da qui la fattispecie aggravata).
Per le stesse motivazioni lo stesso reato può essere integrato anche nei casi in cui vengano condivise foto o video che possono allo stesso modo essere lesivi della reputazione di un determinato soggetto. Anche in questi casi il contenuto deve essere portato a conoscenza di almeno due soggetti, dai quali deve essere esclusa la persona offesa, e si deve essere consapevoli della potenziale lesività del contenuto. Caso differente può invece essere rappresentato dalla semplice condivisione di un pensiero offensivo senza che questo venga amplificato con ulteriori frasi diffamatorie. Non è detto infatti che condividere equivalga ad approvare, e bisogna contemperare in tutti i casi il diritto della persona offesa con la libertà di espressione di pensiero tutelata dall’art. 21 della Costituzione. Nella sentenza n. 3981/2016 la Suprema Corte ha indicato un comportamento di tal tipo come non penalmente perseguibile. Incerta e discussa resta ancora la situazione dei “mi piace” che secondo parte della giurisprudenza sono da considerare alla stregua di questo ultimo orientamento, mentre per altri sono idonei ad integrare il reato di diffamazione. Ulteriori profili di responsabilità possono rinvenirsi analizzando il codice della privacy: un ritratto fotografico (o realizzato tramite video) di un determinato soggetto è da considerare dato personale (in base all’art. 4) e chi tratta questi dati deve informare preventivamente l’interessato (con le modalità ex art. 13). L’art. 10 del Codice Civile consente la richiesta di rimozione di un’immagine lesiva e la richiesta di risarcimento danni, mentre l’art 96 della legge sul diritto d’autore afferma che un ritratto può essere esposto e messo in commercio soltanto con il consenso della persona rappresentata, con le eccezioni indicate nel successivo articolo. Nel caso in cui i dati in questione vengano trattati senza il necessario consenso, che deve essere libero e, per il trattamento dei dati sensibili, scritto, il responsabile può incorrere nelle pesanti sanzioni indicate all’art 167 del codice della privacy.
Quest’ultimo, denominato “trattamento illecito di dati” stabilisce che chiunque procede al trattamento dei dati personali in violazione di alcune prescrizioni del codice col fine di recare profitto a sé o altri (vantaggi di carattere economico patrimoniale), o al fine di causare un altrui danno (tangibile e reale come ad es. una modifica allo stile di vita causata dalla lesione) è punibile con la reclusione da 6 a 24 mesi. Un esempio è una condanna in Cassazione del 2004, in cui un ragazzo aveva diffuso dei video della sua ex fidanzata senza il consenso della stessa. Una condanna porta automaticamente all’applicazione di una sanzione amministrativa compresa tra i 10.000 e i 120.000 euro.
Per concludere è da precisare che, per tutte le ipotesi analizzate in questo articolo, qualora l’offeso dimostri di aver subito un danno conseguente al comportamento illecito, potrà richiedere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali. La prima tipologia di danni sarà maggiormente rinvenibile nelle situazioni relative al plagio ed alla violazione del diritto d’autore; il danno non patrimoniale potrà invece esplicarsi nelle sofferenze di natura interiore ingenerate nella persona offesa a causa della compromissione della propria immagine di fronte a un diverso numero di soggetti. Occorre infine precisare che, oltre alle sanzioni enunciate, è poi possibile che il social di riferimento blocchi il profilo dell’autore dell’illecito o rimuova il contenuto.
Nota: una versione più completa e dettagliata di questo articolo, con precisi riferimenti alla normativa, è consultabile presso il sito Diritto dell’Informatica. Fonte Diritto dell’Informatica
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